donna di spalle, vestita da ancella, in capannone dismesso industriale.

Zitella

Suona al campanello, puntualmente in ritardo come ogni settimana da cinque anni. La vedo attraversare l’ingresso dello studio più sorridente del solito. In mano una pianta infiocchettata. È un ciclamino rosa.  

Nella relazione terapeutica è inusuale lo scambio di regali. Il dono, come ci insegnano le scienze sociali, è una proposta di rapporto, ed in quanto tale, almeno dentro la relazione terapeutica, l’invito è quello di pensare tali proposte piuttosto che agirle. Maria non riesce a rinunciare. Le buone maniere sono molto importanti per lei. Ogni anno a Natale si presenta con un pacchetto, discreto e luminoso, a testimonianza del lavoro da fare insieme. Ma Natale è lontano. Perché questa pianta?

Si accomoda e va dritta al punto: “Dobbiamo festeggiare. Lui mi ha richiamata e vuole stare con me.”

Maria è una donna di circa quarant’anni, lavora, vive sola, ha diversi amici ed amiche. Da due anni ha concluso un’importante relazione ed ultimamente ha ripreso ad incuriosirsi del mondo maschile. Tutto questo avviene nel silenzioso e angosciante vissuto di fallimento esistenziale: “Donna single di quarant’anni, devo avere sicuramente un problema!”, mi ripete spesso. Come lei, incontro molte donne che, raggiunta la famosa “età da marito” (ogni epoca ha la propria, oggi tra i 30 e i 40 anni), si confrontano con la vergogna ed il senso di smarrimento legato al non vivere una relazione sentimentale stabile.

Non è un fenomeno che rintraccio nel lavoro con gli uomini. Nessuno di loro si è mai posto il problema dell’essere single o non nella forma della perdita di senso e valore di sé.

Maria, ridendo, si definisce zitella.

 Ho preso sul serio questa affermazione e sono andata a vedere quale mondo contenesse questa parola e cosa mi facesse venire in mente. Le origini del nome zitella sono da ricercarsi nel germanico zitze ma anche nell’anglosassone tite, titte, che significa “mammella” e “fanciulla”. Accanto a questa origine, ne compare una meridionale come derivazione dal significato di “ragazzina”, diminutivo vezzeggiativo di zita. Ne esisteva anche una versione maschile, zitello. Questa parola in origine, dunque, indicava ragazzi e ragazze non sposati. Non vi era alcuna connotazione valoriale.

Eppure, oggi l’uso è differente, è declinato esclusivamente al femminile e con due significati inseparabili per coglierne il senso: una donna nubile che abbia superato l’età prevista per il matrimonio e con caratteristiche di indesiderabilità (brutta, acida, antipatica). In questa affermazione, frutto della sintesi di diverse definizioni, c’è la radice culturale di molte delle questioni che alcune donne portano in studio, ognuna con la propria soggettività.

Eccoci catapultati in una cultura delle relazioni sociali nella quale apprendiamo come essere donne e uomini. Si tratta di un modello che prevede una rigida distinzione tra ruoli e che si appoggia su presunte caratteristiche idiosincratiche del femminile e del maschile.


Questo è un breve estratto dell’articolo pubblicato sul sito web Festival Psicologia.


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