Mollo tutto

Il tempo è stronzo. 

Così ha esordito un giorno Mia, una giovane donna al rientro dalla pausa estiva. Ai miei occhi una donna in gamba, brillante, capace e determinata. Un contratto in un contesto professionale che l’ha assunta per le competenze acquisite nel corso della sua formazione, condizioni la cui assenza molti suoi coetanei lamentano, consumandosi in una sotterranea insoddisfazione. Eppure, lei vive il livore di chi si sente obbligato ad una vita di costrizioni e di rinunce. Ogni giorno la attendevano uffici, gerarchie vissute come incompetenti, orari e mansioni lavorative per lei insostenibili: “non voglio più perdere tempo”, mi diceva, “non siamo più padroni del nostro tempo, il tempo ci viene sottratto, ci tradisce, Il tempo è stronzo”.

Il rientro dopo le vacanze per alcuni rappresenta un momento molto complesso. La parola vacanza viene dal latino vacare, essere vuoto, libero. L’etimologia di questa parola rimanda alla rappresentazione di una libertà come vuoto, una teoria sulla libertà che penso possa valere la pena esplorare e che oggi sembra sostenere molte domande di psicoterapia.

Il sentimento di costrizione raccontato sembra avere a che vedere con la sensazione che qualcuno o qualcosa impedisca la libera e creativa espressione di sé. La promessa neoliberista che collegava sacrificio, merito e crescita personale ha mostrato tutta la sua falsità: giovani brillanti, pieni di titoli ed insoddisfazioni, raccontano la propria insofferenza nell’adattarsi al mondo del lavoro. Seppur con parole diverse, il vissuto di ingiusta limitazione del proprio potenziale creativo è uno dei modi in cui alcune persone con cui lavoro raccontano i propri problemi.

L’insegnate che si sente soffocare nelle maglie dell’istituzione scolastica e vuole progettare forme di educazione differente, il medico ospedaliero che sente di sprecare le proprie capacità dietro i burocratismi organizzativi e parte per missioni umanitarie, l’ingegnera che tenta di cambiare città e azienda alla ricerca di migliori condizioni contrattuali e culturali in cui vivere e lavorare. Sono solo alcuni esempi in cui il contesto è vissuto come limitante al proprio sviluppo o alla possibilità di fare bene il proprio lavoro.


Questo è un breve estratto dell’articolo pubblicato sul sito web Festival Psicologia.